Giovedì 18 Aprile 2024

L’evoluzione del Terapeuta - L’evoluzione della creatività nel terapeuta ipnotista – Trance, risvolti psicopatologici ( Lo sguardo del “ vampiro “ ).
“ Guai a chi ti guarda negli occhi e non sa chi sei ; Guai a chi ti dorme vicino e non sa che vuoi ; Guai a chi si impossessa dei sogni tuoi ; Guai a chi non ti lascia impazzire mai ...” (b.r.).
Se Jung preferì nella psicoterapia analitica uscire da dietro il lettino per porsi dinanzi al paziente in un vis a vis (un tu per tu), prima di lui, gli ipnotisti guardavano i loro soggetti negli occhi “ seducendoli ” con lo sguardo. Ancora oggi nella psicoterapia ipnotica si può ricorrere alla strategia della fissazione dello sguardo per indurre la transe terapeutica, trascinare l’altro in ipnosi. Con il gioco degli sguardi inizia l’avvicinamento delle anime, l’accostamento di eventi psichici e la pervasività degli inconsci fonde le due dimensioni umane.
Dunque, la chiusura degli occhi pone il paziente in una relazione sempre più intima con il suo mondo interiore, sostenuto dalla dimensione terapeutica all’interno della quale si riversa anche il mondo interiore dell’ipnotista.
In questa tinozza, in cui i due protagonisti, terapeuta - paziente, sono immersi, ognuno si bagna con la storia, i sentimenti, le gioie e le sofferenze dell’altro.
La vasca, presto, si dilata per divenire un vuoto senza tempo e senza spazio in cui la coppia di naufraghi galleggia alla deriva in equilibrio tra la vita e la morte, o meglio, tra l’ultimo sguardo, prima del viaggio, e il mondo sconosciuto delle ombre.
L’ultimo sguardo con gli occhi dell’ipnotista diviene un filo di Arianna che riporta, per la risalita dagli inferi, i dormienti, i naufraghi, verso l’atollo della luce, la ripresa della vita, il possesso della propria coscienza.
Ma quale fortuna ha saputo portare la luce dello sguardo nelle tenebre ? Quale maestro ha condotto le ombre a mostrarsi agli occhi della coscienza ?
Gli occhi, e non solo, assumono significato ed importanza soprattutto per l’ipnotista che sappia dosare, nella relazione terapeutica, le proprie conoscenze e la propria umanità; ed è proprio questa umanità che conduce a sentire l’altro, o meglio, a vedere l’altro. I versi dell’artista che ammoniscono “ Guai a chi ti guarda negli occhi e non sa chi sei ” sembrano alludere proprio a chi, nell’arroganza della tecnica, fa scempio della persona e della dignità altrui. Uno psicoterapeuta ipnotista che non sia sceso al Tàrtaro della sua esistenza non saprà guardare oltre le sopracciglia del soggetto in transe.
Dunque, “ la vera causa del successo terapeutico va ricercata non nelle conoscenze teoriche, ma nell’atteggiamento « profondo » del professionista ; in altre parole nelle sue doti personali e nella sua maturità emotivo – affettiva ” (b.r.).
Già nell’antichità agli occhi si dava particolare importanza e nella statuaria degli antichi templi il diametro degli occhi del viso degli idoli era molto ampio e, spesso, le grandi cavità oculari contenevano cristalli o grandi gemme ipnotiche. Inoltre, in alcune culture le statue di pietra presentavano la bocca semiaperta come se le enormi teste stessero parlando.
Sui pellegrini che si recavano in venerazione presso queste statue, rappresentanti l’autorità divina sulla terra, i grandi globi oculari avevano lo scopo di favorire le allucinazioni : il fruscio di una fonte poteva produrre, dunque, un linguaggio allucinato, oracolare.
Julian Jaynes, facendo ricorso alla psicologia, così commenta : “ il contatto occhio – con – occhio nei primati è estremamente importante. Ai livelli inferiori a quello umano, esso è indicativo della posizione gerarchica dell’animale : in molte specie di primati, infatti, l’animale sottomesso distoglie lo sguardo con un ghigno (es. il gatto nei confronti del cane ). Negli esseri umani, invece, forse a causa del periodo di dipendenza giovanile molto più lungo, il contatto diretto degli sguardi si è evoluto in un’interazione sociale di grande importanza. Un bambino, quando la madre gli parla, le guarda gli occhi, non le labbra e può risponde con un sorriso o con il pianto, ecc. Questo comportamento è una reazione automatica e universale. Lo sviluppo di tale contatto diretto di sguardi in rapporti di autorità e in rapporti amorosi è un percorso assai importante. Qui basterà accennare al fatto che è più probabile sentire l’autorità di un superiore quando lo si guarda direttamente negli occhi. In quest’esperienza c’è una sorta di stress, di irresolutezza, come pure una sorta di diminuzione della coscienza, cosicché, se tale relazione fosse imitata in una statua, essa intensificherebbe il fenomeno allucinatorio delle voci degli dèi ” (b.r.).
Le dure e mute statue apportatrici della divina transe rappresentano una matrice che ha viaggiato nel tempo fino ai nostri giorni per consegnarci un modello in cui il silenzio e la rigidità si ripropongono nell’induzione della transe.
Infatti, “se al tempo di Mesmer l’induzione ipnotica ( salvo commissione Lavoisier, Bailly e Franklin, contro il magnetismo di Masmer ) si faceva « musica - lmente », oggi, al contrario, essa implica il silenzio, la immobilità del soggetto e, in generale, la sola presenza dello sperimentatore ” (b.r.) e, nell’attesa del miracolo, nel paziente meglio si attivano le “ cerebrazioni incoscienti ” (b.r.), quei processi psichici, autonomi, liberi dalle interferenze della coscienza, che modellano creativamente risposte, attese inattese, sognate : “ Si tratta, in realtà, di una trasformazione che avviene silente al di là del nostro sguardo, autonomamente dalla nostra volontà, per destino o per necessità di qualcosa che è al di là del « velo »” (b.r.).
Nel tempio della relazione terapeutica, dove gli inconsci e le coscienze si incontrano, si apre uno spazio, un sentiero che oltrepassa il velo per creare una cosa con la fusione di due essenze. Due dimensioni si congiungono per combinarsi in un’unica realtà, un unico spazio, un “ terzo livello di coscienza ” che M. H. Erickson ha spesso utilizzato come espediente terapeutico della “ trance nella trance ”, “ il sogno nel sogno ” (b.r.) : uno spazio, una dimensione in cui la transe favorisce l’evento risanatore che giunge attraverso “ le voci degli dèi ”. Nel contesto della psicoanalisi, con riferimento al pensiero di H. Hesse, che tende verso la fondamentale unità di tutte le cose, l’analisi“ non può avere in fondo altro obiettivo che di creare uno spazio dentro di noi dove si possa sentire la voce di Dio ” (b.r.). L’importanza degli occhi la si coglie già tra il numeroso contributo di ricerche che hanno evidenziato come solo a poche settimane di vita il bambino risponde agli occhi della madre (b.r.). Scambi di sguardi e sorrisi che si radicano nel bambino in un simbiotico legame relazionale, in un profondo amore.
Mediante gli sguardi che la madre dirige verso il proprio figlio certifica l’esistenza della piccola vita conducendola alla progressiva consapevolezza della sua concretezza. Uno sguardo assente, uno sguardo senza occhi precipita il piccolo nel baratro della non esistenza nella dimensione dell’invisibilità. “ Se è vero che lo sguardo della madre accoglie e protegge silenziosamente il bambino, è anche vero che quello stesso sguardo silente può diventare mortale quando è rivolto altrove.
E’ il dramma della madre assente, della madre indifferente che ingenera nel bambino uno stato di prostrante e continua attesa insoddisfatta. Lui è lì che aspetta, con vitale speranza, che ella si volti a guardarlo, dicendo con quegli occhi « Esisti. Tu sei questo ». Ma è come se questo riconoscimento non dovesse mai arrivare e l’individuo lentamente, e sempre nel silenzio, « muore » prima ancora di essersi riconosciuto tale ” (b.r.).
Nell’ipnosi cosiddetta “ materna ” (b.r.). ci possiamo legittimamente preoccupare di quegli eventi durante i quali, regressivamente, il paziente, specchiandosi negli occhi dell’ipnotista, rivede gli occhi spenti della madre. E’ evidente che l’ipnoterapeuta ericksoniano ha compreso l’importanza del proprio sguardo, specchio vitale che rimanda al paziente le sue risorse rinvigorite di energia creativa ; ed è altrettanto evidente che un terapeuta ipnotista abbia esumato, dunque trattato, dai meandri profondi della sua anima, le brutture, intimamente nascoste, che non lasciavano traccia negli specchi della vita. Venendo meno tali presupposti il paziente si potrebbe trovare dinanzi alla dimensione in cui l’ipnoterapeuta è, secondo una calzante metafora letteraria, un vampiro che non può riflettere la propria realtà, e le anime altrui diverrebbero, quindi, come il bambino per la madre melanconica e dagli occhi spenti, nutrimento per la sua “ non esistenza ”.
Nel legame terapeutico, il professionista tratta con la psiche, l’anima del suo paziente ; anima che porrebbe la sua sede nel sangue (b.r.); il demone, il vampiro, nutrendosi di sangue, si nutre, dunque, dell’altrui anima.
Quando l’amante, rivolgendosi alla sua amata, le dice “ anima mia ”, ha espresso un legame profondo, un legame di sangue (n.s.: “ le sta addosso ”): “ patto di sangue tra adulti che esprime simbolicamente il più lontano « patto di bianco latte » di quella originaria società che è l’unità duale di madre e bambino ” (b.r.), relazioni d’amore, ora, rievocate nella diade ipnotica. Il rapporto amoroso sembra prefigurare un rapporto vampirico ; il vampiro segnala insieme il bisogno e il rischio d’amore (b.r.). E’ proprio come descritto nella trama del romanzo di Kerrelyn Sparks dal titolo ‘ Come sposare un vampiro milionario ’ (2011) dove l’amore unisce uno scienziato vampiro e una dentista con la paura del sangue.
Relazioni terapeutiche durante le quali interviene l’eros sono note nella letteratura dell’ipnosi : già, nel 1807, Armand-Marie-Jacques De Chastenet, Marchese di Puységur, allievo di F. A. Mesmer, espresse la consapevolezza della possibilità di interferenze erotiche nella terapia e di come tali effetti sono sempre accresciuti dall’azione magnetica (b.r.).
In questa intimità il terapeuta ipnotista e il suo paziente possono inconsapevolmente restare compromessi quando dormono insieme in una forma di “ ipnosi reciproca ” in cui l’ipnoterapeuta è a sua volta ipnotizzato dal soggetto sul quale ha appena effettuato l’induzione (b.r.) ; oppure quando si genera una vera “ sintonia - sincronica interattiva ” tra ipnotista ed ipnotizzato che si traduce in comportamenti definiti “ movimenti ritmici congiunti ”. Legame reciproco che vede l’ipnosi attribuibile ad entrambi i partecipanti e che si sviluppa in un’unica interazione tra ipnotista e soggetto.
Tutto è riconducibile ad un “ coinvolgimento arcadico ” di atteggiamenti emotivi del profondo che si sono formati presto nella vita e che riguardano i genitori (b.r.).
Così, con l’inizio simultaneo del sonno ipnotico nella coppia terapeutica, si può improvvisamente risvegliare un profondo e antico amore : l’operatore resta ingenuamente smarrito, coinvolto con l’altro in un rapport la cui guida è affidata a un’entità aliena. Lo psicoterapeuta - vampiro è, ora, sofferente poiché si riconosce nella dimensione tra la vita e la morte, tra i sentimenti trasferali e insolitamente controtrasferali, coinvolto da una condizione inattesa che scatena sentimenti ed emozioni mai concessi alla sua vita. Pertanto l’ipnotista opera una negazione della realtà : tale realtà non ha alcuna radice nella sua memoria ma solo un vago reverbero di ciò che avvenne in un tempo molto lontano.
Allora, egli si difende, si rifugia nel mondo che lo tenne distante dai sentimenti, il mondo dell’invisibilità. Nella nostalgia, però, di dover prendere forma e sostanza risucchia l’altrui energie in un’oralità infinita, un buco nero della follia.
Infatti, “ le tendenze sadico - orali hanno un carattere simile al vampirismo. Persone di questo tipo chiedono ed esigono sempre parecchio, non abbandonano il loro oggetto e si attaccano per « succhiamento »”. Inoltre, una sadica oralità è facilmente sostituibile da un “ uso « orale » degli occhi ( che ) rappresenta la regressione dalle percezioni visive a scopi di incorporazione ”. Per queste persone gli oggetti non sono considerati come individui ma soltanto come cibi. Incorporando gli oggetti si uniscono ad essi ” ; oppure si identificano “ con l’oggetto dal quale vogliono essere nutrite ” (b.r.).
Anche la letteratura sul vampiro vede lo sguardo di questo essere fascinante e distruttore : il suo sguardo è la principale arma di seduzione... della perdizione, dell’amore e della rovina... i suoi occhi rendono impotente la preda che presto sarà divorata,... prima che con la bocca comincia a “ mangiare ” l’altro con gli occhi. Lo sguardo del vampiro e quello della sua vittima rinviano a un’assenza, indicano un luogo invisibile, costruiscono una lontananza imprecisata (non misurabile in chilometri ), portano in un altrove misterioso, segnalano presenze inquietanti e nascoste di cui entrambi avvertono, diversamente, il richiamo (b.r.).
Un autentico vampiro divoratore di anime fu Hitler : i suoi occhi erano luccicanti, come quelli della madre, come quelli di Medusa. “ Si esercitava a lanciare « occhiate penetranti davanti allo specchio » e gli piaceva fare « a chi abbassava per primo gli occhi ». Uno scrittore gli scrisse : “ E’ come se i suoi occhi fossero dotati di mani, perché ti afferrano e ti tengono stretto... Lei ha trasformato in un colpo solo la condizione della mia anima... Hitler era anche considerato una « mosca bianca » perché era un tipo isolato e inaccessibile, come se ci fosse un incantesimo su di lui ” (b.r.). Negli occhi dell’ipnotista, così sadici e voraci, quali intimi vissuti potrebbe riflettere il paziente ? Egli non potrebbe trovare scampo nemmeno nella fantasia : resterebbe incorporato, succhiato, identificato con il suo predatore, con il suo terapeuta, con il suo vampiro. Ecco, l’uno è parte dell’altro, la preda è stata vampirizzata : anch’essa non riflette più la sua immagine ; è divenuta invisibile ; non riflette più immagini nello specchio della realtà.
La sorte dell’esistenza del vampiro, in eterno bilico tra l’esserci e non esserci, ha, ora, contagiato la sua preda alla conoscenza di quella profonda melanconia che “ è la condizione dell’uomo che deve affrontare continuamente il rischio di non esserci nel mondo il « rischio di perdita della presenza »” (b.r.). “ Risultato : l’invisibile diventa l’estraneo, l’« alieno », lo straniero. L’alienazione rende l’invisibile ancora più pauroso e distante sempre più rappresentato da lupi mannari ” : ordunque, un’altra persona è stata ingoiata dallo specchio del vampiro.
Il mondo dell’invisibile è il mondo della fantasia, il mondo dei sogni, il mondo delle speranze, delle cose illogiche ; non ci si può dirigere verso questa dimensione quando si ricerca la propria realtà nel regno dei sensi : “ Oddio, forse la cosa che viene da altrove mi farà commettere azioni folli ; magari il mondo invisibile è del demonio e bisogna starne alla larga. Ciò che non riesco a vedere non posso conoscerlo; ciò che non conosco lo temo; ciò che temo lo odio; ciò che odio lo voglio distruggere. Sicché la mente razionalizzata è disposta a preferire l’abisso al ponte; il taglio netto che separa i regni ” (b.r.).
Il terapeuta-vampiro è una coscienza che non si destruttura, non si depotenzia : resta invisibile dinanzi allo specchio poiché le parti interne vengono negate, dunque non conosce la sua ombra. La sua coscienza è rappresentata dal castello della razionalità cristallizzato su semplici riflessi sensoriali nel quale il puer-senex è imprigionato : il ponte con il cambiamento è reciso ; il cambiamento stesso rappresenta il “ pazzo ”, la pazzia.
Pretendere la restituzione della propria immagine che lo specchio trattiene è un obiettivo che il terapeuta non può rinviare : essere visibili, uscire allo scoperto, appartenere al mondo significa imparare a vivere e militare semplicemente nelle azioni quotidiane. “ La vera energia di cui l’uomo può sfruttare tutte le modalità è inizialmente l’umile riconoscimento di essere consapevole dell’esistenza della propria vita, unica, singolare ed irripetibile ” (b.r.).
Il gallo ha cantato, la luce giunge con forza, non c’è ragione alcuna di temere la propria morte, la propria trasformazione; il cambiamento così temuto si può rivelare come una folgorazione,una rinascita, la scoperta del diverso, l’altro temuto. L’inesperto professionista ( vampiro ) ha, ora, scoperto che “ lo stato di trance è uno stato di maggiore apertura al nuovo ” (b.r.), all’inespresso, al perturbante. Il percorso verso la crescita è rapido ed anche il paziente scopre, nella luce del terapeuta, il proprio sole e la propria ombra.
Alzare, sollevare il velo e scoprire il volto della fantasia e della creatività, fantasticare i propri sogni, il proprio futuro, trasformare tutti gli eventi ed i ricordi spostandoli a piacimento oltre i confini del tempo, che sembra volare, e dello spazio, che sembra non esistere, consente al soggetto di essere immerso nel caos, pur mantenendo la lucida autosservazione. Egli, finalmente, può raccontare all’altro “ una metamorfosi continua che investe i luoghi, gli oggetti, i protagonisti degli eventi narrati. Un mondo rovesciato dinanzi allo sguardo dell’uomo che non sa se stia effettivamente assistendo alla trasmutazione di tutte le forme o non sia piuttosto la mente allucinata ad investire il reale di un formidabile delirio... Ogni psicoanalista sa che le « invenzioni » del paziente nel raccontare un sogno o un fatto reale, sono significative e rivelatrici quanto i resoconti più scrupolosamente fedeli ” (b.r.).
Infatti, “ nell’approccio ipnotico ogni dettaglio va impiegato a ragion veduta poiché la comunicazione si affida prevalentemente alla immaginazione del soggetto e ne sollecita la fantasia e la possibile creatività ” (b.r.).
Nello sguardo del vampiro si nota come “ l’ipnosi favorisce un rinforzo dall’interno all’identificazione del paziente con il terapeuta ” il quale “ si cala nel suo (del soggetto) interiore, nella sua mente e tra i suoi pensieri per adattarsi al suo comportamento ” ; come “ qualsiasi prassi psicoterapeutica è fortemente condizionata dal suo psicoterapeuta ” (b.r.). E come non si è dimenticato di esporre, seppur metaforicamente, alcuni aspetti fondamentali che entrano in gioco nella psicoterapia ipnotica, “ non si può passare neppure sotto silenzio il ruolo che ha il desiderio di potere sull’altro nelle tante forme di seduzione del paziente e in qualsiasi tentativo di manipolarlo.
Tale desiderio su cui si sofferma Guggenbuhl-Craing appare connesso e determinato sia dalla « psicopatologia dell’analista » (b.r.), sia dalla scissione dell’« archetipo guaritore - paziente » di cui parla lo steso Guggenbuhl-Craig. Invece di mantenere le proprie ferite, l’analista si identifica con la salute, con la capacità di guarire, lasciando all’altro, al paziente la malattia, la sofferenza, l’aver bisogno di cura. Quest’identificazione con il polo « sano » e onnipotente della relazione può essere ancora più massiccia e temibile quando la patologia dell’analista coincide con dei tratti schizoidi. L’immagine del guaritore ferito su cui insiste la psicologia analitica (b.r.) corrisponde nell’analisi di Carotenuto ad una particolare struttura della personalità, frequente fra gli analisti, caratterizzata da atteggiamento freddo e onnipotente, tendenza a costruire sistemi intellettuali più che a intessere rapporti affettivi, distacco, isolamento, difficoltà a dare emotivamente se non in situazioni nelle quali si è protetti dal ruolo, interesse e attitudine a comprendere la realtà interna ” (b.r.), Preoccupazioni che anche M. H. Erickson esprime quando dice che “ i pazienti hanno ragione di risentirsi quando sentono di subire una manipolazione per mezzo di « aride tecniche » impiegate da un operatore che non ha alcun rapporto personale o conoscenza della fonte dei problemi e della malattia che sono in tutti noi. Questi operatori cercano di impiegare la tecnica come mezzo di potere e prestigio per controllare, possedere gli altri (nst.: la polizia fa allo stesso modo ?). Ma l’inconscio dei pazienti, naturalmente, avverte tutta la superficialità di questa nuova messinscena, e nulla cambia davvero; non fanno che resistere, manifestare delle « resistenze ». Anche se cambia il sintomo, non è ancora avvenuto nessun profondo coinvolgimento con quelle fonti interne di malattia e creatività, che è il vero scopo di tutto il lavoro terapeutico ” (b.r.).
L’ipnoterapeuta che non sa viaggiare per andare nella dimensione dei fantasmi altrui, per paura di perire, è come il vampiro che teme di esporsi alla luce : a entrambi, dalla dimensione opposta, è stata rubata l’anima. Il primo può riprendere la sua amata scendendo agli inferi ; il secondo può riavere, senza voltarsi indietro, la sua anima incontrando la luce.
Orfeo, dopo essere sceso all’Ade per riavere Euridice, sulla via del ritorno, durante la risalita, perse per sempre la sua sposa perché, malgrado il divieto della divinità, volse il suo vorace sguardo verso la sua amata.
Il sentore della morte, vicino alla suprema metamorfosi, vicino all’abbandono delle certezze, ha sempre uno sguardo che C. Pavese così riveste con alcuni dei suoi versi : “- Per tutti la morte ha uno sguardo. - Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. - Sarà come smettere un vizio, - come vedere nello specchio - riemergere un viso morto, - come ascoltare un labbro chiuso. - Scenderemo nel gorgo muti (b.r.).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista, Specialista in psicoterapia ipnotica e ipnosi Roma
Socio Fondazione Europea – AMISI – Associazione Medica Italiana per lo studio dell’ipnosi
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